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Ulteriori conferme sul metodo e natura della tariffa rifiuti, nonché sulla latitudine del servizio pubblico tra corrispettivi e rapporti contrattuali
A cura di Alberto Pierobon

La sentenza (non definitiva) del Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 luglio 2021, n. 5158 (pubblicata il 6 luglio 2021) è interessante sotto vari profili.

A cura di Alberto Pierobon

Essa muove dal ricorso presentato da Herambiente contro la Regione Emilia-Romagna e l’Agenzia Territoriale dell’Emilia-Romagna per i Servizi Idrici e Rifiuti (Atesir) che funge da Egato (in ATO regionale), avverso la sentenza del TAR, Emilia Romagna, Sez. “, decisa il 3 giugno 2020, n. 408 (pubblicata il 16 giugno 2020) (1).

In estrema sintesi, con distinti ricorsi venivano impugnate più delibere della Giunta regionale (la n. 380 del 2014(2) e la n. 467 del 2015(3)) con cui, in attuazione dell’art. 16, comma 1(4), L.R. n. 23 del 23 dicembre 2011 ed a parziale modifica della pregressa delibera giuntale n. 135 del 2013(5), “sono stati fissati i criteri per l’individuazione e la quantificazione dei costi – sostenuti dai soggetti privati gestori degli impianti di smaltimento dei rifiuti solidi urbani (RSU) – che devono essere imputati alla tariffa gravante sugli utenti finali: la citata disposizione di legge regionale, infatti, stabilisce che “l’affidamento della gestione del servizio dei rifiuti urbani non ricomprende detta impiantistica [ossia quella, in proprietà di privati, deputata alle operazioni di smaltimento dei rifiuti] che resta inclusa nella regolazione pubblica del servizio”.

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