Si tratta di un impianto contrattuale unitario che vuole offrire ad operatori storici e nuovi entranti una disciplina unica in materia di lavoro per affrontare la transizione energetica e digitale, implementare le competenze degli addetti, valorizzare il rapporto scuola-lavoro e favorire un ricambio generazionale.
Non è stato un rinnovo facile. I tassi di inflazione previsionali IPCA pubblicati a giugno da ISTAT, più 9.25 % nel triennio, una struttura del settore con imprese di grandi e piccole dimensioni, i prelievi forzosi e in molti casi immotivati decretati dal governo per mitigare l’innalzamento dei costi dei servizi energetici e da ultimo la crisi di governo hanno di fatto lasciato esclusivamente alle Parti sociali la responsabilità su come chiudere il contratto.
Di sicuro non ha aiutato la mancanza di un Patto sociale sulla politica dei redditi, modello Protocollo Ciampi, per evitare l’innesco di una spirale prezzi-salari destinata a penalizzare i settori più esposti alla concorrenza internazionale e i lavoratori meno protetti sul mercato del lavoro, i disoccupati. Lo sforzo fatto dalle imprese è stato rilevante ed è auspicabile un intervento sulla riduzione del costo del lavoro (vedi cuneo fiscale, detassazione incrementi contrattuali) per evitare un trascinamento sui costi del servizio.
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